venerdì 17 maggio 2024

Il Volga.






L'avevamo già conosciuto nel 2016, quando lo trovammo scorrere lungo la nostra discesa dall'Ucraina verso Volgograd.
Non abbiamo i tocchi lirici di Vasilji Grossman (leggetelo se vi capita) ma vi basti sapere che questo lungo e maestoso fiume ha sempre degli scorci magnifici.
Un ponte di barche ondeggiante e cigolante, uno stagno colmo di pavoncelle, una barca di solitari pescatori, una lingua sottile di terra che attraversi veloce come se stessi fendendo l'acqua, uno sguardo su questa enorme massa d' acqua che dopo più di 3600 km (come 3 Italie, una in fila all'altra) si riversa nel Caspio.
Quest'anno abbiamo gironzolato nella sua foce, enorme pure questa ovviamente, posta nel territorio di Astrachan.
E, nonostante tutte le menate del visto, ti ritrovi a pensare che proprio grazie a queste potrai tornare un'altra volta a rivedere il Volga.

Il giro dell'oca.


Lo conoscete il gioco, vero?
Può capitare che il tiro di dadi vi faccia arretrare dalla posizione fin lì acquisita.
È quanto capitato alla coppia di noi inviata in Russia.
Respinti alla frontiera russa di Astrachan, quando il Kazakistan era lì a 5 metri, appena dopo la sbarra.

Il motivo era il possesso del visto elettronico; ci vuole il visto cartaceo ci dice il doganiere!
Ma come? ...chi ci ha curato la richiesta di visti a Roma, vi ha dato il modulo ove vi indicavamo il nostro viaggio con ingresso da Georgia ed uscita in Kazakistan.
E ci avete dato un visto elettronico.
Ci avete fatto entrare con quello ed ora che stiamo andando fuori dai co...ni, perché non ci fate uscire?
Misteri delle burocrazie di frontiera.
Il colpo è stato duro ma ci eravamo preparati perché la stessa disavventura ci era stata raccontata da due motociclisti veneti, conosciuti per caso sabato  a Tbilisi.
Pure loro con visto elettronico, pure loro respinti ad Astrachan, quando volevano entrare in Kazakistan.
Ecco perché, quando si capì che Valentino non poteva  entrare in Russia, si decise che due moto invece  entrassero comunque.
Si doveva verificare l'efficacia del visto in nostro possesso, vitale anche per le 2 moto rimaste fuori che, prima o poi, sarebbero entrate in Russia per raggiungere le prime due.
La verifica ha detto che ci aspettano  tutti e 4 una prossima volta, muniti di visto cartaceo.
Valli a capire...

martedì 14 maggio 2024

Astrachan













Da est o da sud il nemico era sempre in agguato e sempre di religione diversa.

La regione, l'oblast, di Astrachan è sempre stato un baluardo difensivo per il potere politico (prima gli Zar e poi i soviet) ma pure  per quello, altrettanto importante, della religione cattolica. Ortodossa ovviamente.

Qui ad Astrachan si è sempre combattuto molto e, per quanto abbia avuto anche sconfitte (per un periodo è divenuta anche un khanato tataro), quasi sempre si è vinto, preservando il controllo delle terre fertili del Volga e la supremazia sul Mar Caspio.

Appena entrati nel suo territorio vi sono, ben visibili al nemico, le croci patriarcali (simili a quella cattolica ma con una barra orizzontale in più) che, unite alle spade, simboleggiano l'intenzione di vendere cara la pelle.

Astrachan è molto bella, con edifici di pregio, prima fra tutti la cittadella medievale fortificata, il Cremlino, cuore di questa come di tutte le importanti città russe. 

Si mangia anche bene, menù di pesce ovviamente, con lo storione che si contende il primato con il luccio perca (per noi ha vinto il primo, servito come trancio arrosto ed accompagnato da una deliziosa salsa al melograno).

Ancora più ad est.



 



 

lunedì 13 maggio 2024

Un lunedì molto umido e malinconico ma lungo un percorso davvero unico.





Le 2 moto inviate in missione in Russia (trattasi di impegno votato ad alto rischio ma questa è storia che racconteremo solo domani, chiedendo perdono  per questo mezzuccio usato per aumentare l'audience) arrivarono a Vladikavkaz, capitale dell'Ossezia del Nord,  sotto pioggia battente la sera di domenica.

Non li allietò, arrivati lì, sapere del terzo posto del Pecco. La notte passò poi a rimuginare se la scelta era stata giusta, a pensare ai compagni oltreconfine.

La mattina dopo però, venne spontaneo cercare di rompere l'atmosfera di malinconica depressione con uno squillante ...ma che due co...ni!

La pioggia era infatti ancora battente, mentre non c'era sconto alcuno per i km che conducevano ad Astrachan,  600 erano e 600 restavano.

Bagnati però.

La negativa atmosfera non miglioro' quando, dopo i  primi chilometri, un cartello per la vicina Beslan ci ricordo' il massacro di circa vent'anni orsono. 

Non potevi però ignorare la bellezza dei luoghi; pinete a perdita d'occhio, torrenti cristallini. Il meglio del paesaggio montano del  Caucaso.

Anche la gente, quando ti fermavi, era gentile e felice di conoscerti; gentilezza che veniva solo un po' attenuata da quelle barbe all'uso islamico tanto in voga qui ma  da noi sempre associate allo stereotipo del talebano tagliagole. 

Poi il fondovalle è divenuto pianura, con enormi campi densi di grano, sempre con città ordinate e ben attrezzate. Infine le case sono divenute più semplici, rurali, ad un solo piano, con i quartieri e gli edifici circondati dai ghirigori delle grosse tubazioni esterne del gas; tristissima firma che connota l'intera urbanistica residenziale del periodo  CCCP.  

D'un tratto, in poche decine di chilometri, scompaiono il verde, le case, l'umanità ed inizia una steppa arida e grigia, sconfinata. Qui un tempo vivevano i calmucchi, etnia di origine mongola che, sin dai tempi degli Zar, aveva trovato un habitat simile a quello d'origine,  adatto alla pastorizia ed alla vita nomade.

Qui la fanno da padroni i rapaci e le volpi; queste sono magre e scattanti, il rumore delle delle moto, per loro insolito, le fa scappare con grandi balzi e scarti ma poi, vinte dalla curiosità, si fermano a guardarti passare. I grandi occhi ancora più grandi.

Come era scomparsa la vita, d'improvviso, ricompare, tra le terre aride affiorano chiazze umide che diventano più estese, si trasformano in stagni ed in canali.

È l'enorme fiume Volga che si annuncia, con l'estuario sempre più vasto, scintillante.

Arrivi ad Astrachan con il sole che tramonta nel cielo ormai limpido, le acque blu intenso si incendiano colore rosso fuoco. 

Potenza e splendore della natura.



Si sfaldano le ultime roccaforti maschili


La notizia ha fatto il giro del mondo ad inizio maggio.

Il Garrick Club, plurisecolare circolo esclusivo della Londra degli affari, non è più composto da soli uomini; una storica delibera a maggioranza ha divelto questa roccaforte, ammettendo a soci (o meglio a socie) anche le nipotine di Eva.

Negli stessi giorni, con meno enfasi ma con uguale effetto, il meno titolato ed anziano Dusty Roads Club ha ammesso tra i soci viaggiatori pure una socia viaggiatrice.

I più attenti l'avranno già notato dalle foto ma ora dobbiamo darne annuncio ufficiale, in viaggio con noi c'è pure Lorena!



La Moschea di Murtuza.



Murtuza era venuto alla luce nel 1857 in Azerbaijan e,  nato li, non poteva che essere mussulmano.

Non si sa se nacque povero o benestante ma è certo però che divenne ricchissimo, super ricco, un milionario come pochi.

I suoi affari si ramificavano oltre la sua patria e, inevitabilmente, pure con la Russia degli Zar, che imperavano anche su Vladikavkaz, città lontanissima da Mosca e, invece, una delle sedi principali degli affari del buon Murtuza, che di cognome faceva Muchtarov.

Per sdebitarsi con quella città, per intessere affari ancora migliori in futuro o per raccomandarsi post mortem, fatto sta che il riccone edificò ad inizio del 1900 questa splendida moschea sunnita, da allora nota come Moschea Muchtarov.

Venne ultimata nel 1908 con grande fasto e con i migliori muezzin.

Poi, già nel 1917, arrivarono a comandare i bolscevichi che, si sa, di Zar, preti, muezzin e ricconi fecero piazza pulita.

Ah ...disse amareggiato Murtuza...valle a sapere le cose....morendo, forse di crepacuore e dispiacere, nel 1920.

Si ignora se sia servita la raccomandazione 




La scelta.


Non possiamo ritardare oltre; qui  è mezzanotte, siamo stanchi morti ma dobbiamo cmq dirvi il seguito del viaggio, cosa si è deciso ieri.

Non che siano tanti i nostri lettori ma ci teniamo a chi ci segue. Manzoni, lo ricordate, diceva di averne almeno quattro; pure noi ne abbiamo e, proprio perché non siamo certo Manzoni, abbiamo massima cura del "Nostro Lettore", il gentile sig. Gian Paolo che tutti i giorni ci segue dalla sua bella Salò. Ci forziamo quindi, nonostante tutto, a scrivere sempre,  proprio per non deludere chi, come lui, ci segue assiduamente.

Eravamo dunque in frontiera, mogi mogi e con una decisione da prendere: 1 moto non entra in Russia e quindi che fanno le altre 3?

Vanno tutte in Russia?

Restano tutte in Georgia? 

Soluzione mista?

Saremo brevi e vi diciamo che si è scelto la terza opzione,  con 2 moto in Georgia e 2 in Russia; varie ragioni, complicato spiegarvele tutte,  ci hanno portato a decidere così. Ma è stata una scelta difficilissima, che ci ha lasciato abbacchiati.

Completamente abbacchiati.

Enorme inciampo!


Viaggiando come si viaggia noi gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo ma quello di domenica è stato veramente enorme.

Dopo una bella dormita tra le magnifiche vette di Kazbegi verso le 9 eravamo alla frontiera tra Georgia e Russia. Dopo l'inevitabile lunghissima attesa che caratterizza sempre questi passaggi, alla fine i nostri passaporti vengono timbrati e passiamo al controllo doganale. Ci fanno aprire tutte le borse, borsine, sacche e zaini ed anche qui molto tempo perso ma tutto ok. Si va ora all'ultimo controllo dei documenti moto per avere alla fine la carta che ti autorizza ad importarle temporaneamente nel paese ove stai entrando, con ovvio tuo obbligo pure ad uscire con la moto onde evitare illecite vendite con evasione delle tasse doganali.

E qui inciampiamo di brutto.

Per questa tratta Renato non poteva venire e, come già accaduto in passato, un sostituto, Valentino, ha guidato la sua moto, munito di un permesso internazionale in più lingue rilasciato dall'ACI. Già in passato l'avevamo usato senza problemi, anche entrando ed uscendo da frontiere russe. Questa volta però non è andata bene. Ci hanno osservato che tra le varie lingue mancava il russo; era innegabile che avessero ragione. E quindi niet,  la moto di Renato guidata da Valentino non può entrare.

Le tentiamo ovviamente tutte prima di gettare la spugna, compresa una traduzione asseverata in cirillico od una nuova procura in lingua russa dall'Italia. Ma è tutto di impossibile realizzazione, i tempi sono stretti visto che domenica abbiamo il volo e, infine, abbiamo già usato il visto che non è  plurimo ma a singolo ingresso.

Una volta compreso che per Valentino l'ingresso era impossibile, si è dovuto decidere che fare.

Ed è stata una scelta molto, molto difficile.

sabato 11 maggio 2024

Non è solo un vecchio copertone... Storia di una Shinko.



Beh ...che c'è da fotografare? 
Per qualcuno e, anzi, per i più questo è solo un vecchio copertone da buttare. Ciarpame.
Per un "pola" invece questo coso (perché certo nemmeno lo puoi definire un pneumatico) segnala che il conducente della moto merita una multa sostanziosa, sacrosanta. 
Un pistaiolo (ndr soggetto che ha manico e corre in pista come un dannato, anche quando la pista non c'è) direbbe solo, e certamente non puoi dargli torto, ..dove  cazzo vai con una gomma così?
Pure a Voi, cari lettori, per quanto siate gentil ed interessati alle nostre sciocchezze, la cosa non suscita emozioni.
A noi si, però, molte davvero.
Scolpiti nel  logoro caucciù ci sono tanti e tanti chilometri.
Su queste tele ormai lise si è scritta una storia che mai pensavamo accadesse.
L'abbiamo detto tante volte e ci ripetiamo, siamo viaggiatori di mezza tacca, sconclusionati dilettanti sempre affannati nel raccogliere qualche giorno da dedicare al viaggio.
Eppure oggi, guardando la gomma ti ricordi che l'hai comprata al mercato di Busan, nientemeno che in Corea del Sud.
Pioveva il giorno prima ed avevamo già girato tanti negozi per sentirci dire che no, per le nostre 3 moto, appena arrivate in nave da Vladivostok, non c'erano gomme. Erano pneumatici per moto grandi mentre lì, in Corea, pullulavano le moto ma solo quelle piccole.
Un tipo poi non si arrende, fa mille telefonate ed alla fine ci dice, provate a tornare domani che forse...
Pioveva anche il giorno dopo ed erano già due ore che aspettavamo al negozietto ormai un po' rassegnati. Ed invece arriva un mini corriere cioè un tipo magro magro con uno scooterino stracarico con cui, tutto gocciolante, sta effettuando consegne di almeno un mezzo magazzino.
Con in bocca una sigaretta sbilenca si fa firmare un foglietto dal negoziante e riparte, silenzioso come è arrivato, nel caos straordinario della zona del porto (Busan è uno dei primi scali commerciali al mondo). 
A me toccò una Shinko nuova fiammante che quasi nemmeno  Santa Lucia mi fece così contento.
Mai vista  prima una gomma della Shinko e mai vista pure dopo. Era però della misura giusta ed era quello che interessava al cerchio della Vecchia Bastarda. 
Montata la gomma eravamo sicuri di avere  il Giappone nelle nostre mani e, invece, è andata di culo (chi vuole legga puntate anno 2019), poi c'è stato il COVID ma, ad ogni modo,  ne ha fatta di strada la Shinko.
Certo ha iniziato con lunghe e comode  dormite oceaniche  in container ma poi si è proprio guadagnata il pane nei balcani, lungo la dorsale anatolica, ha visto l'Ararat dal curdistan ed è poi risalita verso il Mar Nero.
Poi la Georgia, l'Armenia, un saluto all'agonizzante Nagorno Karabakh, il confine iraniano e poi via verso nord, verso il Caucaso e l'Abano Pass.
E poi ancora qualche migliaio di chilometri fino ad oggi.
Carissima Shinko, che belle avventure!
E pazienza per chi non capisce che mi è dispiaciuto lasciarti.

Essenze georgiane: montagne, simboli di fede e vessilli.








 

San Giorgio




Siamo in alto, talmente in alto che la gran parte delle nuvole è sotto di noi; c'è ne sono molte altre anche sopra le nostre teste,  però.  L'irta e sconnessa strada caucasica verso Stepantsminda è viscida, devastata e zeppa all'inverosimile  di camion, bestioni stracarichi che, da/per la Russia, arrancano lungo  la  stretta strada militare dei tempi dello zar, improvvisamente esplosa dal 2022 in fondamentale direttrice commerciale delle merci che aggirano, con la Turchia nel ruolo di player principale, gli embarghi commerciali contro Putin.

La visuale è scarsa ma il poco che vedi è già molto; le cime maestose (qui ci sono un paio di 5mila cui il Monte Bianco fa solo solletico) discendono a valle a strapiombo, con pendenze vertiginose. In valli strettissime e canyon, si incuneano torrenti spumeggianti  che tagliano  netti le masse di neve ancora abbondantissima.

Improvvisamente una struttura ad anfiteatro, di chiaro stampo CCCP ma decorata in modo affascinante,   si affaccia su una delle gole più spettacolari. Armonici archi si aprono con  balconate panoramiche sull'orrido e, nonostante un po' di folla e le immancabili bancarelle, riesci a gustare il tutto. 

Al proprio interno, il ventaglio in  cemento armato è un'esplosione di colori. La figura dominante è San Giorgio, il martire soldato, il santo che forse più di tutti incarna e simboleggia la lotta, la battaglia contro il male, contro i cattivi, sempre in lotta con i tanti draghi che ci riserva ogni epoca.

Non è un caso che i georgiani abbiano il suo nome, che la loro patria si chiami come lui.

Mattacchioni ma pure fieri combattenti come pochi. 

Bella gente questi georgiani.

Ararat

E' come un saluto.
Ti svegli dal breve sonno, ti affacci alla finestra ancora stropicciato e lui è lì, insolitamente limpido. Da Yerevan non lo avevamo mai visto così pulito,  le foschie cittadine lo celavano sempre in qualche tratto.

Oggi invece ci saluta in tutta la sua bellezza, resa ancora più scintillante dall'abbondante mantello delle nevi primaverili. Lo capisci solo giorni dopo che questo è un saluto, un addio in grande stile.

La mattina corre poi veloce come si era programmato, le moto non sono state troppo riluttanti nel risveglio, un po' di bei massaggi e via.

La campagna armena, con dolci declivi coltivati ci accompagna con giochi di verde magnifici, resi ancora più vividi dalla pioggia che ci fa compagnia per buona parte del viaggio.

Risaliamo a nord e l'Ararat scompare dietro le nostre spalle, raggiungiamo poi il lago Sevan con lo splendido monastero affacciato sulla penisola.

Poi le incombenze della frontiera armeno/georgiana ed infine, sul far della sera, ci accoglie la capitale  Tbilisi.

giovedì 9 maggio 2024

Altro giro altro regalo.

Ormai è già passata la prima ora del giorno 9 maggio; sono mesi che ci pensi e lo declini in vari modi:9524, 09052024, nove maggio 2024, novemaggioduemilaventiquattro e via di seguito.

Pareva non arrivasse mai e adesso ne hai già sprecata la prima ora, che forse non sarebbe male dormire. 

Ed invece sei sveglio ed inquieto; ti hanno strattonato di qui e di la le solite tribolazioni del lavoro fino all'ultimo, i pensieri dell'aver preso tutto, previsto tutto, sognato tutto. Ti punge il dispiacere di lasciare i tuoi affetti, di farli stare in pensiero, di lasciar loro le rogne mentre tu...

Tu vai ed hai voglia di andare come pure di restare, è una cosa strana che ti lascia nel limbo fino all'ultimo ma poi, fra poco, tutto si chiude. Un bacio, l'ultimo controllo e via.

Voleremo a Yerevan, si arriverà a notte tarda forse all'alba, poche ore di sonno che ti imponi per non rimpiangerle poi per strada ed ecco che siamo da Padre Elia. Un saluto, tanti abbracci, una capatina all'altare per salutare il Capo, una spolverata alle moto che si stiracchiamo dal sonno. Il Caucaso ci aspetta, dovremo varcarlo dal confine georgiano per arrivare  in Russia, al Mar Caspio, alle pianure malmucche dove il delirio bellico di Hitler venne soffocato a Volgograd  dalla tenacia dei combattenti e del popolo russo. Oggi, poco lontano, si combatte ancora e tu non capisci perché cazzo succede ancora, ed ancora, ed ancora.

Domani partiamo e vediamo che ci riserva la strada davanti a noi; la nostra metà è Samarcanda.