mercoledì 17 agosto 2016


Il cielo è veramente terso ed i raggi del sole farebbero brillare, se non fossero completamente impolverate, le superfici di vetro e metallo delle moto. Di buon mattino abbiamo lasciato il nostro rifugio alpino per una divagazione ai 3.330 mt del Utmek Pass. Girate poi le moto, abbiam preso il percorso finale. Ora il nastro d'asfalto ha avviluppato nelle sue spire da serpente il possente ed immenso dorso della montagna e siamo in cima a quasi 3.600 mt. mentre dietro di noi le valli di Talas e di Suusamyr, che si biforcano nell'altipiano sottostante, poltriscono placide nelle prime ore del giorno. Noi guidiamo senza tirare le marce; scaliamo morbidamente, quarta, terza, seconda, ecco il tornante e poi nuovamente innestiamo le marce, dolcemente, mai sopra i 3.000 giri. Davanti al nostro manubrio e dagli specchietti vediamo un panorama che ha pochi eguali; il verde scintillante dei pascoli, solcato dalla spuma argentea dei vari torrenti, si chiude all'orizzonte con la catena innevata del Kirgizskij Chrebet, cui fa da cornice l'azzurro pulito del cielo. Tutto il fondovalle è punteggiato dal bianco delle numerose yurte dei pastori, che qui alloggiano nei circa tre mesi dei pascoli estivi di alta quota (gli jailoo); sparsi in questa immensità di verde, vedi poi cavalli, mucche e pecore che, quasi allo stato brado, si godono queste valli dell'Eden. Non abbiamo voglia di vedere la fine di questa salita, di questo sole, di questo viaggio; sappiamo che la nostra avventura sta finendo e vorremmo prolungare al massimo questi ultimi chilometri, per aver poi il piacere di farli tornare alla memoria per chissà quante volte. La salita è però terminata, la strada torna in piano e si dirige verso l'enorme barriera di granito scuro che sbarra il Tuz Ashu Pass nella sua interezza. Davanti alle nostre moto si apre lo stretto pertugio di una scura galleria che ci inghiotte in pochi secondi. Lo stacco non poteva essere più netto, dentro è buio assoluto e speri solo che la strada non sia troppo sconnessa; procediamo quasi a tentoni mentre, ancora lontano, uno strano ronzio inizia ad avvolgerci. Proseguiamo in fila indiana ed il rumore cresce ad ogni giro di ruota, divenendo via via un fischio lancinante. Sulle prime, anche perché sei concentrato ad evitare possibili buche, non capisci di che si tratta, poi ricordi che in questo antro scuro lungo pochi chilometri, erano morte nel 2001 quattro persone, avvelenate dai gas di scarico. Ora capiamo, sono le ventole, installate poi a tragedia avvenuta! Manca però una qualsiasi protezione acustica e ti pare di essere superato, a destra e sinistra, da due ambulanze a sirene spiegate. In un attimo siamo passati dal bello più assoluto ad un caos oscuro e frastornante. Arriva poi la fine del tunnel e la strada scende in picchiata con tornanti ripidissimi (degni dello Stelvio verso Trafoi), poi il fondovalle con gole strette. Ancora un'ora e siamo a finecorsa. Bishkek, 8800 km da casa!