Alle mille cose che ancora restano da organizzare e che, ne sei sicuro, non si combineranno mai.
Alle sensazioni ed emozioni che hai incamerato in queste due settimane sempre protesi in avanti, che di strade e di posti ne restavano ancora troppi.
Ti guardi dentro e ti chiedi se era questo che volevi e che vorresti ancora.
Ci si sveglia abbastanza presto, che non si può non andare a Khor Virap, a vedere di nuovo e da vicino l'Ararat.
Questa volta dal versante armeno e mentre lo guardi, offuscato dal notevole smog che avvolge il tutto, sai che ci hai messo cinque giorni per aggirarlo, tra Turchia, Georgia ed Armenia.
Da questo versante il profilo è più aguzzo; resta invece immutato il suo fascinoso e misterioso ergersi dal nulla, svettando poi solitario ed imponente.
Il monastero sottostante è l'ennesimo magico luogo che possiamo assaporare, sintesi quasi perfetta della regione che abbiamo attraversato: quella caucasica, complicato miscuglio di religioni, lingue e popolazioni. Un crocevia che ha visto e vede anche oggi grandi scontri (ce lo ricorda la vicina tomba di un soldato armeno caduto da poco) ma pure inaspettate e feconde contaminazioni.
E poi via, di corsa per l'ultima meta di oggi e dell'intero viaggio: il tempio greco-romano di Garni.
Come a Cnosso, la filosofia ricostruttiva del sito lascia un po' perplessi; così perfettamente a posto pare più una farlocca attrazione di Gardaland che la concreta testimonianza della tenacia e del coraggio nello spingersi così ad oriente.
Perché sino a qui sono giunte la cultura e la potenza ellenica, seguite subito dopo, in splendida fusione, da quelle dell'impero romano.
Fino a qui.
Senza mezzi motorizzati o, perlomeno, comode vie d'acqua.
Ti pare quasi impossibile.
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